Nonpiùneve e la riscrittura degli immaginari

La Disney, dopo il polverone causato dal lancio del nuovo adattamento de La Sirenetta, con Biancaneve si vede di nuovo investita dalle feroci critiche di un crescente gruppo di spettatori “anti-woke” contrari a queste operazioni commerciali, veicolo di una pericolosissima propaganda politica.

Non è più una notizia che nel 2024 la Disney farà uscire l’ennesimo adattamento della fiaba di Biancaneve, reinterpretazione del classico d’animazione Biancaneve e i sette nani del 1937 e basato liberamente sul racconto pubblicato dei fratelli Grimm nell’ormai lontano 1812.
Quello che fa notizia, e che in queste ore sta facendo molto discutere, è un video riemerso in cui le due attrici protagoniste del film, Rachel Zagler e Gal Gadot – rispettivamente Biancaneve e la Regina Cattiva – difendono il film parlando delle necessità dietro questo ennesimo adattamento, utilizzando queste parole:

It’s no longer 1937 … She’s not going to be saved by the prince, and she’s not going to be dreaming about true love. She’s dreaming about becoming the leader she knows she can be.” [“Non è più il 1937 … Lei (Biancaneve) non verrà salvata dal principe, e non sognerà il vero amore. Lei sognerà di diventare la leader che sa di poter essere.”]

A questa dichiarazione, si è sommata la decisione della Disney di sostituire i sette nani con altrettanti magici comprimari, assegnando le parti ad attori di differente genere ed etnia e creando un dibattito all’interno della comunità delle persone affette da nanismo.

I sette nani Disney
I sette nani Disney

Dopo quindi il polverone causato dal lancio del nuovo adattamento de La Sirenetta, che aveva causato anch’esso un accesissimo dibattito a causa dell’assegnazione della parte di Ariel all’attrice afroamericana Halle Bailey, la Disney si vede di nuovo investita dalle feroci critiche di un sempre crescente gruppo di spettatori “anti-woke” che vedono queste operazioni commerciali come veicolo di una pericolosissima propaganda politica.

Nonostante sia ormai indubbio che la Disney abbia fatto dell’inclusività uno dei suoi marchi di fabbrica, in certi casi forzando anche un po’ la mano – la rappresentazione di certe minoranze e di certi personaggi a tutti i costi, quasi volendo spuntare delle immaginarie e obbligatorie caselle – quello che preoccupa è questa apparentemente urgente e necessaria attualizzazione degli immaginari che fin troppo spesso va parimenti al totale rifiuto e alla conseguente cancellazione del prodotto (o dei prodotti) originali. Astraendole dal loro contesto, le parole della Zagler sono infatti estremamente condivisibili: è auspicabile, se non necessario, creare degli immaginari dove non c’è alcun bisogno di principi e dove le donne non siano soltanto delle fragili creature da dover salvare. La problematica sta nella sistematica sostituzione di un archetipo narrativo classico con un’unica e possibile formula archetipica moderna: una donna nuova, forte e che non ha bisogno di nessuno se non di sé stessa. Le parole della Zagler infatti suggeriscono la volontà di voler estromettere dai nuovi immaginari le figure maschili, ricorrendo però ad un’operazione di inversione o, peggio ancora, di sostituzione dei ruoli, dove la donna si libera dall’oppressione e dalla necessità di un comprimario maschile ma ne assume tutti, o parte, dei caratteri e degli attributi.
In un contesto del genere sorge spontaneo domandarsi se ci sia ancora spazio per una rappresentazione archetipica classica della donna nelle narrazioni contemporanee.

Biancaneve nel film Disney
Biancaneve nel film Disney

L’altra problematica legata a questo costante revisionismo narrativo, indubbiamente la più importante, è la totale immobilità creativa da esso generata. È lecito, se non necessario, chiedersi del perché debba essere Biancaneve (o chi per lei) a dover incarnare questi nuovi e moderni ideali, a dover essere contenitore di istanze sociali e morali. Perché non creare nuove storie, nuovi immaginari, nuovi universi narrativi in cui far esistere queste eroine contemporanee? Perché questa continua necessità del voler modificare gli immaginari secondo i parametri e le sensibilità del contemporaneo, censurando concettualmente il passato?
La verità è che questo programmatico revisionismo storico, che si manifesta non soltanto in una sequela di remake, censure e imbarazzanti quanto superflui disclaimer in testa a pietre miliari del cinema (si veda il caso Via col vento) non è nient’altro che l’ennesimo trend  da cavalcare. Un mero strumento di marketing che, attraverso semplici interventi trasformativi, permette di creare dei prodotti conformi ad un omologato pensiero comune. Nonostante però i suoi nobilissimi presupposti, – la necessità di rappresentare le donne in tutte le loro possibili sfaccettature – tale pensiero sembra non riuscire a condividere uno spazio immaginifico con una auspicabile pluralità di rappresentazioni narrative, finendo per trasformarsi in tutto quello che cerca ferocemente di cancellare.

Etrio Fidora

Direttore responsabile