Siciliani all’estero ai tempi del coronavirus. Timori, speranze, coraggio

Tornare o restare? A dispetto delle migliaia di Siciliani che, dichiarata la quarantena, sono tornati nell’Isola, c’è chi ha deciso di rimanere al suo posto e di continuare la propria vita all’estero ai tempi del coronavirus.

Giovani professionisti che per scelta o per necessità hanno deciso di emigrare in cerca di un futuro più adeguato alle loro aspettative e capacità e che si trovano a fronteggiare, lontani da casa, una pandemia che non ha precedenti.

Preoccupazione, invito alla prudenza e al rispetto delle regole. Sono queste i concetti ricorrenti parlando con ognuno di loro. C’è la farmacista di Parigi, la ricercatrice di San Diego e il videomaker di Londra. Tre storie diverse in tre paesi diversi che, dopo i primi tentennamenti iniziali, si sono trovati costretti anche loro a dichiarare il famigerato lockdown.

Parigi (Photo by Andrea Maschio on Unsplash)
Parigi, Francia

“Come farmacista, mi trovo in prima linea – racconta Sabrina Giardina, in Francia da 8 anni – e la preoccupazione di portare il contagio a casa è costante. Per fortuna il Governo Francese fornisce agli operatori sanitari un kit settimanale di DPI (dispositivi di protezione individuale) che ci permette di far fronte alla situazione e continuare a fare il nostro lavoro al meglio possibile”. Dopo le polemiche delle scorse settimane, in Francia è stata dichiarata la quarantena lo scorso 17 Marzo “Anche qui da noi, seppur con modalità diverse – prosegue – gli spostamenti devono essere motivati e devi avere con te la certificazione che attesti la validità dei motivi. Hanno lasciato alla gente la possibilità di uscire per un’ora al giorno e devo dire che la cittadinanza si sta dimostrando molto disciplinata nel seguire le direttive”. Non mancano però gli habituè della visita in farmacia: sono diversi gli anziani che si recano con frequenza in farmacia per acquisti non esattamente essenziali. “Cerchiamo sempre di scoraggiare le persone dall’uscire frequentemente – spiega – ma spesso ti rendi conto che si tratta di persone che vivono da sole e che cercano un motivo qualsiasi pur di avere un contatto umano, anche se mediato dalle distanze imposte”.

Coronado Bridge, San Diego, California, Usa
Coronado Bridge (San Diego, California, Usa)

Diverso quello che accade negli Stati Uniti dove, dopo una prima fase di proclami e ottimistiche previsioni, si registra il più alto numero di contagi a livello mondiale. “Qui hanno bloccato tutto circa una settimana fa – racconta Valentina Lo Sardo, staff scientist presso lo Scripps Research Institute di San Diego, California – restano aperti i servizi essenziali ma non c’è ancora bisogno di una certificazione per andare in giro. La gente dopo una prima fase in cui mostrava un certo distacco, ha cominciato a capire che siamo di fronte ad un evento senza precedenti e che bisogna osservare le regole sul distanziamento sociale e comportarsi in maniera responsabile”. Per Valentina, negli Stati Uniti da nove anni ma mai distante da quello che accade in Italia, sono state settimane di apprensione: “I miei suoceri sono di Bergamo – racconta – e fin da prima dell’emanazione del decreto abbiamo suggerito loro di stare a casa e uscire il meno possibile perchè la situazione era molto preoccupante”. Giudizio sospeso sull’operato del Governo Italiano: “La tempistica è stata buona – osserva – ma non chiudere i collegamenti è stato un errore clamoroso. Era facilmente prevedibile che una dichiarazione di quarantena avrebbe scatenato un esodo di massa verso il Sud”. Dalla scienziata siciliana, infine un invito accorato a rispettare le regole: “ La gente deve rendersi conto che bisogna stare in casa e limitare le interazioni con le persone esterne al nucleo abitativo. Il contagio non tiene conto del grado di parentela. Il fatto che i numeri siano migliori nell’Isola rispetto a zone più colpite non deve indurre a cullarsi e a disattendere certi comportamenti”.

In una Londra ancora sotto shock per la positività del premier Boris Johnson, vive Alessandro Mariscalco, videomaker e fotografo. “Il famoso discorso sull’immunità di gregge pronunciato da Johnson è stato veramente preoccupante – racconta – soprattutto confrontato con le notizie che venivano dall’Italia. Per fortuna da una settimana siamo in lockdown ma fino ad una decina di giorni fa se andavi in giro con guanti e mascherina o chiedevi di poter lavorare da casa venivi considerato un po’ paranoico. Adesso le persone, complici i contagi “celebri”, cominciano a rendersi conto che la situazione non può essere sottovalutata e che, con l’Nhs (sistema sanitario inglese ndr) al collasso dopo anni di tagli, bisogna mettere in atto tutte le misure possibili per ostacolare il diffondersi del contagio”. Non è solo il pericolo coronavirus a destare preoccupazione: “Londra – spiega – è piena di persone che non hanno un posto dove vivere. Se l’emergenza dovesse protrarsi a lungo temo che sarà difficile gestire la situazione, specialmente nei quartieri più “caldi”. Il rischio di ritrovarci con disordini simili a quelli del 2011 è concreto”.

Big Ben, Westminster, Boadicea, Londra
Big Ben, Westminster (Londra, UK)

Giovanni Scarlata

Direttore responsabile