Migranti: ostaggi di propaganda e mistificazioni

La propaganda politica tiene ancora inchiodata l’attenzione pubblica sul tema dei migranti secondo una dimensione distorta, xenofoba e foriera d’odio.

Il tema dell’accoglienza dei migranti, affrontato arringando le piazze con lo slogan “porti chiusi”, copre l’impotenza di non sapere gestire il problema degli “irregolari” e dei rimpatri. Inadeguato l’approccio verso gli aspetti sensibili: le questioni dei rifugiati, dei corridoi umanitari, dell’applicazione dei trattati internazionali e del quadro degli accordi tra Paesi UE.

In tema di migranti, i recenti “decreti sicurezza” assecondano politiche di respingimento, efficaci solo in quanto argomento da comizio elettorale in chiave sovranista/populista. Politiche che fanno leva sulla diffusione di paure xenofobe, ma ad esse non corrispondono misure efficaci dal punto di vista dell’ordine pubblico. Questa narrazione, che sostiene l’esistenza in Italia di una situazione di emergenza determinata da un’invasione extracomunitaria, evocando un nemico nei fatti inesistente, viene criticamente avversata come “arma di distrazione di massa”.

Trafficanti di uomini organizzano sbarchi dall’Africa in Europa da tutti e cinque i Paesi costieri del Mediterraneo, dall’Egitto al Marocco. Ogni tappa del lungo viaggio dei migranti dal luogo di origine costa denaro, pagato da parenti o con lavoro prestato in condizioni di sfruttamento estremo. Profughi che arrivano in Libia da Paesi africani o asiatici (come Eritrea, Somalia, Sudan, Etiopia, Yemen, Siria, Iraq), vengono trasferiti in centri di detenzione-lager, ammassati in condizioni denunciate come disumane e degradanti da testimoni diretti e organizzazioni internazionali. Crudeltà, torture, stupri, lavori forzati, estorsioni. Le autorità libiche non sono nelle condizioni di esercitare un effettivo controllo di ciò che avviene nei numerosi centri di detenzione disseminati nel territorio. I detenuti vengono spogliati di ogni bene di valore. Trafficanti di uomini sequestrano e torturano i prigionieri, allo scopo di estorcere loro un riscatto che vale un posto su un barcone. Il prezzo varia da 250 fino a 2000 euro. Ogni optional ha un costo: salvagente, telefono satellitare, cibo, acqua. Sconti se si porta con sé un altro passeggero pagante. Quando in qualche modo il prezzo viene pagato, attraverso bonifici internazionali da familiari raggiunti telefonicamente, si parte.

I barconi rimorchiati in mare aperto dai trafficanti di uomini possono, con molta fortuna, raggiungere la costa europea. Quella più vicina da Libia e Tunisia è l’isola italiana di Lampedusa. I migranti più sfortunati, su imbarcazioni precarie e sovraffollatissime, rimangono in balia dei flutti in mezzo al mare e in tanti casi naufragano. Relitti e corpi rinvenuti a distanza di giorni i soli testimoni.
Le navi delle Ong, organizzazioni non governative che pattugliano le acque tra l’Africa e la Sicilia, sono impegnate ad individuare le imbarcazioni in difficoltà e prestare loro soccorso.

Zone SAR tra Africa e Sicilia
La complicata situazione nel tratto di mare che separa l’Africa dall’Italia. Le imbarcazioni dei migranti per raggiungere le coste italiane debbono attraversare necessariamente la zona SAR (Search and Rescue, cioè Ricerca e Soccorso di imbarcazioni in difficoltà o naufragate) di competenza maltese. Vi è però una sovrapposizione determinata dalla presenza di Lampedusa e dalle isole Pelagie italiane e da zone di mare rivendicate da Italia, Tunisia e Malta.

Inutile crudeltà proibire lo sbarco dei migranti soccorsi dalle Ong, tenendoli illegalmente prigionieri a bordo, mentre ogni giorno ne arrivano su barchini e gommoni

Il tema dei migranti è diventato oggetto di fortissima propaganda e contrapposizione politica. Nonostante le norme internazionali impongano il soccorso alle imbarcazioni in pericolo e il trasporto dei passeggeri nel porto sicuro più vicino, l’Italia ha adottato la cosiddetta politica dei “porti chiusi”, proibendo l’accesso in acque italiane alle navi Ong che chiedono di potere sbarcare adulti e bambini raccolti in mare.
La critica rivolta a questa politica riguarda profili di illegalità (mancato rispetto dei trattati internazionali, sequestro di persone illegittimamente trattenute a bordo delle navi, omissione di cure per minori e di persone in stato di difficoltà, etc.) ma anche di ragionevolezza: durante l’ultimo caso dei migranti soccorsi dall’Open Arms, mentre per settimane la nave è stata fatta rimanere al largo del porto di Lampedusa impedendo lo sbarco delle persone a bordo, sono arrivati sull’isola centinaia di altri profughi su barconi. Se il problema è realmente vigilare sulle “sacre frontiere” per contrastare l’afflusso di clandestini, è inspiegabile perché mai i migranti soccorsi dalle Ong non vengano trattati esattamente come i clandestini che arrivano costantemente sui barchini. La prassi logica vorrebbe cioè che tutti, senza distinzioni, fossero trasferiti nei medesimi hotspot e centri di accoglienza, ricevere le cure mediche del caso, ed essere identificati.

Inconsistente l’accusa che le navi Ong siano i “taxi del mare” di chi sfrutta la tratta dei profughi. I trafficanti di uomini operano e continueranno ad operare a prescindere dalla presenza delle navi non governative in missione umanitaria di soccorso. Crudele quindi, impedendo lo sbarco, tenere prigioniere a bordo persone in stato di difficoltà, immorale dare la loro sofferenza in pasto ai social network, vergognosa la decisione di usarle come pedine in una presunta logica di contrapposizione con l’Unione Europea.

È evidente che vi deve essere una politica di gestione comune UE che riguardi l’accoglienza di chi, entrando in Italia, entra in Europa. Costi e ripartizione dei profughi riguardano tutta la Comunità europea, non solo il nostro Paese. Va rivisto il Trattato di Dublino 3. Ma è un problema che non può essere gestito pretendendo di demonizzare mediaticamente le organizzazioni umanitarie. Inefficace adottare provvedimenti controversi, oggettivamente crudeli e moralmente riprovevoli, come rifiutare e tenere in ostaggio persone che leggi e trattati internazionali impongono di soccorrere ed accogliere. Un problema di civiltà non può essere risolto con metodi incivili.

Dario Fidora

Direttore responsabile