Migranti, recuperati 72 corpi. Bartolo: “Riattivare subito soccorso e salvataggio in mare.Troppe morti di cui l’Europa non conosce nulla”
Il mare continua a restituire i corpi delle vittime del naufragio del 1° luglio.
Secondo le dichiarazioni raccolte dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni da uno dei sopravvissuti, a bordo del gommone, partito dalle coste libiche di Zwara in direzione Italia e naufragato dieci giorni fa al largo delle coste tunisine di Zarzis, vi erano 86 persone.
“È indispensabile che l’Europa faccia ripartire immediatamente la Missione Sofia, per il soccorso e il salvataggio in mare”, afferma in una nota l’eurodeputato Pietro Bartolo. “Oggi piangiamo per i 72 corpi che il Mediterraneo ci ha restituito dopo il naufragio dello scorso 1 luglio. Purtroppo si trattava di una tragedia di cui eravamo già a conoscenza. Ma quanti altri ne muoiono ogni giorno, di cui a noi non giunge notizia? Quante persone si trovavano a bordo del gommone ritrovato dalla Alex di Mediterranea, appena qualche giorno fa? Quanta gente scappa dalla guerra, morendo in mare, di cui l’Europa non sa assolutamente nulla? Come possiamo continuare a dormire la notte?”.
Tra gennaio e giugno del 2019, lungo la rotta del Mediterraneo centrale ha perso la vita una persona ogni 6 arrivate in salvo in Italia, rispetto ad una ogni 18 nello stesso periodo dello scorso anno.
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— UNHCR Italia (@UNHCRItalia) July 9, 2019
Dichiarazione congiunta OIM – UNHCR: necessario cambiare l’approccio internazionale nei confronti di rifugiati e migranti in Libia
Secondo le due agenzie dell’ONU, l’OIM-Organizzazione internazionale per le migrazioni, e l’UNHCR-Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, la comunità internazionale dovrebbe considerare la protezione dei diritti umani dei migranti e dei rifugiati un elemento centrale del suo impegno in Libia.
In una nota congiunta le due organizzazioni hanno dichiarato: “Chiediamo in maniera prioritaria che i 5.600 migranti e rifugiati attualmente detenuti in Libia siano liberati in maniera ordinata e che sia loro garantita protezione; in alternativa, chiediamo che possano essere evacuati verso altri paesi dai quali procedere con tempestive procedure di ricollocamento. Allo stesso modo i Paesi dovrebbero fare un passo avanti rendendosi disponibili in caso di evacuazione e ricollocamento.
La pratica della detenzione arbitraria per coloro che vengono salvati in mare e riportati in Libia deve cessare. Esistono reali alternative: ai migranti e rifugiati dovrebbe esser permesso di vivere nelle comunità, dovrebbero essere istituiti centri aperti e procedure di registrazione. Allo stesso modo, si potrebbero aprire centri semi-aperti simili alle strutture di raccolta e partenza dell’UNHCR (Gathering and Departure Facility).
È necessario assicurare più supporto per i circa 50.000 rifugiati e richiedenti asilo e gli 800.000 migranti presenti in Libia, affinché le loro condizioni di vita possano essere migliorate, i diritti umani possano essere rispettati e meno persone finiscano nelle mani dei trafficanti.
Bisogna fare tutto il possibile per evitare che le persone soccorse nel Mediterraneo vengano riportate in Libia, Paese che non può essere considerato un porto sicuro.
In passato, le imbarcazioni dei Paesi europei che conducevano operazioni di ricerca e soccorso hanno salvato migliaia di vite, anche grazie alla possibilità di effettuare le operazioni di sbarco in porti sicuri. Questo schema operativo è vitale e dovrebbe essere ripristinato, per gestire il fenomeno in un’ottica di responsabilità condivisa a livello europeo.
Allo stesso modo, le imbarcazioni delle ONG hanno svolto un ruolo simile nel Mediterraneo e non possono essere penalizzate perché salvano vite in mare. Alle imbarcazioni commerciali non può esser indicato di ricondurre in Libia le persone soccorse in mare.
Qualsiasi responsabilità e attività di assistenza dovrebbe essere assegnata a organismi libici competenti solo a patto che nessuno sia detenuto in modo arbitrario dopo essere stato soccorso e che sia garantito il rispetto dei diritti umani. Senza tali garanzie, si dovrebbe interrompere qualunque forma di sostegno”.
Il docufilm @NatGeoItalia “Where are you? Dimmi dove sei” – racconta la storia delle persone ritratte nella foto di @massimosestini1 divenuta l’icona della tragedia dei rifugiati.
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