Orlando e Alajmo, applausi e fischi

Hanno tutti ragione e hanno tutti torto. La vicenda di Roberto Alajmo e della fine della sua direzione al teatro Biondo di Palermo rappresenta, su tutti i fronti, il trionfo dell’ipocrisia.

Il riassunto delle puntate precedenti serve a chiarire meglio il sostanziale pareggio tra le tesi in causa e cosa ha determinato l’addio al giornalista della Rai che, bene o male, ha lasciato una traccia profonda nella storia recente dello Stabile palermitano.

Cinque anni fa, all’epoca del ritorno di Orlando a Palazzo delle Aquile e della vittoria di Rosario Crocetta alle Regionali, c’è l’opportunità di mandare (finalmente) in pensione Pietro Carriglio, indiscusso zar del teatro la cui resistenza sul ponte di comando era stata già messa in discussione dalla critica situazione amministrativa e da scelte artistiche non proprio popolari. Ma, sia chiaro, la spallata l’ha data la politica. E l’azzardo di Orlando, come ai bei tempi, ha sortito l’effetto sperato.

Il sindaco ha pescato tra gli outsider, non uno del mestiere, ma un intellettuale che il teatro sino ad allora l’aveva visto sporadicamente da autore e da comparsa all’epoca dell’adolescenza. Di mestiere fa il giornalista alla Rai, ma Alajmo ha saputo costruirsi una ben più soddisfacente seconda vita con la scrittura, dalla narrativa alla lirica.

Dicevamo, un azzardo, perché non è che fosse poi così scontato che uno scrittore sapesse mettere le cose a posto in un teatro poco abituato ad essere produttivo.

Ma Alajmo ha azzeccato la formula, segno di intelligenza e pragmatismo. Ha capito che il pubblico tradizionale da solo non bastava a tenere a galla la baracca e che peraltro lui non avrebbe saputo e voluto fare il Carriglio. Ha cominciato a levare le ragnatele, alleggerito la proposta culturale, ha spalancato le finestre facendo entrare un po’ di aria nuova e riammettendo nelle sale del Biondo frammenti indigeni, quanto è bastato per far suonare a festa le sicule campane. E infine ha chiamato a raccolta quella parte di Palermo che l’ha sempre seguito con l’affetto dovuto all’amico piacione che è sempre esistito in ogni enclave culturale.

Miscela perfetta, lo testimoniano i numeri che Alajmo con giusto orgoglio ha svelato a bilancio del suo quinquennio. Stratosferiche percentuali in aumento in ogni voce, dagli abbonamenti agli incassi, che poi erano le cose su cui essere oggettivamente giudicato. Perché delle scelte artistiche non si è mai chiesto conto e ragione ai suoi decennali predecessori e sarebbe stato davvero fuor di luogo imputargli il metodo attraverso il quale ha accelerato la ripresa di un teatro che sembrava destinato alla maschera d’ossigeno. Il tocco soave e vincente di Alajmo, che magari non avrà prodotto e ospitato spettacoli indimenticabili ma che ha fatto riemergere l’orgoglio di appartenenza delle maestranze e soprattutto ha avviato la necessaria operazione di rilancio del teatro.

Momenti di gloria che se la gestione del Biondo fosse privata avrebbero determinato la riconferma automatica. E in questo ha ragione Alajmo ad avere il broncio tipico del figlio che ha subìto un torto dai genitori ma in età adulta. Nessuno platealità, compostissimo ma offeso, sobrio ma sarcastico, il direttore ha vissuto la vigilia dei suoi giorni da ex abbracciato dalla città che in questi 5 anni ha determinato il suo successo. E concedendosi la carrigliata di proporre proprio in chiusura di mandato uno spettacolo a sua firma.

Ha ragione Alajmo, la storia del bando sembra creata di proposito per farlo fuori. Ha ragione Alajmo, la mancata riconferma è una carognata e un’offesa alla città, almeno ad una parte consistente di essa. Ha torto a meravigliarsene, perché è giusto ricordare che quella politica che oggi gli ha dato il benservito è la stessa che l’ha messo sul trono. E l’ipocrisia è intollerabile qualsiasi sia la provenienza.

Se ha ragione Alajmo, avrà torto Orlando, si direbbe. Eppure anche il sindaco ha buoni motivi per sedere dalla parte giusta del ragionamento. Soprattutto se il “nemico” non ha fama pregressa, cosa che avrebbe reso più ostica la rimozione (materiale e culturale). Orlando ha voluto rimarcare chi è l’uomo che comanda: non già l’imperatore ma colui che gli mette in testa la corona. L’altro torto di Alajmo, se così possiamo definirlo, è quello di essere stato sordo al richiamo del sindaco durante la semi vertenza del personale del Biondo. Schierarsi con le maestranze – e per di più apertamente – è stato l’azzardo che Orlando non gli ha perdonato. Mai. Neppure dopo l’endorsement velato – ma pur sempre mettendoci la faccia – in cui il direttore in piena campagna elettorale diventava testimonial della crescita culturale di Palermo riconoscendo di fatto i meriti del sindaco. E un po’ anche i propri. Orlando non ha perdonato ma ha fatto sì che le successive dimissioni di Alajmo fossero inefficaci. Insomma, non ha voluto forzare la mano, lasciandolo ammollo nell’acqua tiepida, pronto ad alzare la temperatura. Un avvertimento che sembrava essere arrivato forte e chiaro. Sembrava. Perché l’altro peccatuccio di Alajmo, sostengono dalle parti di Villa Niscemi, è stato non avere preso le distanze da Emma Dante durante il corpo a corpo con Orlando. Perché gli intellettuali saranno anche i benvenuti nelle stanze del potere, ma finché dicono le cose che il potere vuole sentirsi dire. Altrimenti, kaputt.

E stavolta la reazione è stata inesorabile. In autunno una proroga contrattuale di due mesi che è suonata come un preavviso di licenziamento, poi l’ideona del bando che si dice concertato tra Regione, Comune e Fondazione proprio per stritolare le eventuali velleità di Alajmo.

Dispiace sia finita così, anche perché aumenta il carico di responsabilità del nuovo direttore. E anche perché da cittadini è giusto pensare, prima che agli uomini, al futuro dell’istituzione culturale e delle maestranze.

La legge, così come è formulata, di fatto impedisce a figure di spicco del mondo del teatro di rispondere alla chiamata pubblica. Se così non fosse, il direttore sarebbe stato Roberto Andò, gradito ad ogni latitudine. Bene che vada sarà quella figura mista, una metà manager e l’altra artistica che non sempre in Sicilia ha garantito buoni risultati. Questo dice la storia recente. Sono lontani i tempi di Mario Giusti e se ci è consentito anche di Michele La Tona. E ciò deve far riflettere su come, nelle more che il legislatore passi alle modifiche, risolvere il problema. Magari giocando di coppia, con un amministratore coadiuvato da un consulente artistico. Altrimenti state sicuri che, per evitare rischi e potere esibire gli stessi numeri di Alajmo, la tentazione di una bella e produttiva virata commerciale sarà l’inevitabile destino del teatro Biondo.