“Salvini è dappertutto, come un tempo Pippo Baudo. Finirà per annoiare…”. Ecco il graffio dell’onorevole Penna
“Da quasi un anno non posso mettere piede a casa mia, è la cosa più paradossale di questi dodici mesi che testimoniano quanto certe volte la vita possa essere davvero strana”.
Una sorta di arresti domiciliari al contrario, la parte oscura di quest’ultimo anno pieno di oscillanti emozioni. Non appena ha scavallato i 60 anni Aldo Penna è stato costretto a fare i conti con i risvolti più insidiosi dell’esistenza.
Una stagione che era cominciata con una nuova avventura politica, interpretata alla sua maniera, pancia a terra e sudore. Una campagna elettorale che non è andata a buon fine (era assessore designato di Ugo Forello alle Comunali di Palermo), ma al cui esito in fondo è stato abituato da decenni di battaglie condotte stringendo nel pugno quella rosa che distinse la sua militanza con i socialisti e con i radicali di Marco Pannella.
Dal quel giro di valzer con Forello nasce la candidatura al Parlamento e l’elezione al Senato. Penna fa parte di quella truppa di siciliani che non rappresentava l’ortodossia del Movimento Cinquestelle e che, a detta di molti, ha saputo assicurare il valore aggiunto alle elezioni dello scorso anno.
Il problema è che tra una campagna elettorale e un’altra, tra la delusione e il trionfo, Penna ci ha messo in mezzo un’emorragia cerebrale, una botta che segna fisico e anima e spesso ti manda per sempre in panchina. Invece, grazie ad una tempra di ferro e al sostegno di una moglie che ha lottato come e forse più di lui, è tornato a giocare. Infortunato, ma in campo.
“E non posso dimenticare, in questa giostra di emozioni, la nascita di mio nipote. Lo guardo e ancora il cuore mi batte forte”.
Dicevamo, da un anno fuori di casa. Penna abita al terzo piano in uno stabile senza ascensore. Quindi niente casa, i suoi giorni palermitani conditi da tanta estenuante fisioterapia, li passa in un albergo del centro. L’addio alla casa – si dice temporaneo ma è già trascorso quasi un anno da quel maledetto 14 febbraio – è la prima botta che ti fa ricordare il significato della parola disabile.
“È vero, se in certi problemi non ci si sbatte il muso non si riesce a capirne la vera essenza. E capita anche alle persone più colte e sensibili. Le barriere architettoniche sono la prova di come troppo spesso il disabile passi in secondo piano, di come a volte siano ignorati, quasi umiliati. Ti racconto un episodio recente, in aeroporto”.
Riguarda Punta Raisi e il tanto bersagliato Leoluca Orlando?
“No, per niente. Riguarda l’aeroporto di Roma, la capitale d’Italia. Eravamo un gruppetto di disabili in carrozzina. Nessun riguardo per noi, anzi la tendenza a lasciarci isolati, nascosti, quasi a renderci invisibili agli occhi degli altri utenti. A Palermo queste cose non accadono, bisogna darne atto. E di Orlando inutile parlare, non è più la sua stagione ed è evidente”.
Inciso: con Aldo ci conosciamo da decenni, da decenni condividiamo tante sfumature, il suo Mirto e la Rosa per molti di noi è stato un rifugio culturale ancor prima che gastronomico, non mi ha mai stupito che dalla politica, materia praticata sin da adolescente, abbia avuto nulla. Anche perché nulla ha chiesto. Aldo è un idealista, a suo modo un puro senza che ciò voglia sottintendere la parola coglione. L’intervista si rende possibile solo se si dimentica ciò che abbiamo alle spalle. E così è stato.
In Sicilia si sperava che la tua presenza – e quelli di altri meno “ingrillati” come Giorgio Trizzino e Steni Di Piazza – alla bisogna potesse rappresentare la dissonanza, un eventuale disallineamento dai grandi capi. Invece, sulla questione dell’assalto ai giornalisti, per esempio, non una parola contro Luigi Di Maio e la sua coorte.
“Dovrai ammettere che contro il Movimento c’è da anni un’aggressione quasi totale da parte dell’editoria italiana. Un fatto davvero inusuale nella storia della Repubblica Italia”.
Anche ammesso che sia così, dovrai ammettere che esistono principi che appartengono a tutti e che rappresentano il sale della democrazia. E che, soprattutto su internet e sui social, la pratica delle notizie palesemente false ha annacquato molte delle giuste, giustissime istanze del Movimento. Possibile che anche dagli spiriti più laici e libertari non sia uscita una parola di dissenso verso quella che ha avuto tutto il sapore di una rappresaglia?
“Io continuo a dire le cose che dicevo prima e penso con la mia testa. Ma tutti si aspettano che si dica: Di Maio ha sbagliato, per la ricerca del titolone. E questo non è necessario e non ha senso. Sulla nave Diciotti, altro argomento caldo, ho sostenuto che era giusto fare sbarcare i profughi e concedere i salvacondotti. Dopodiché sarebbe stato più che opportuno accompagnarli alle frontiere dei Paesi nei quali volevano andare. Avrei voluto vedere se non li avessero fatti entrare con il salvacondotto italiano”.
Hai citato in caso della Diciotti che è un po’ l’emblema della convivenza forzata dei Cinquestelle con la Lega e con Matteo Salvini.
“È stato uno sbocco obbligato, l’alternativa sarebbe stata tornare a votare. Abbiamo fatto il famoso contratto di governo e…”
E ci stai a tuo agio con questi compagni di viaggio e con questo contratto di governo?
“Quando la Lega rimarca alcune sue caratteristiche è naturale che mette in difficoltà il Movimento e naturalmente anche me perché le radici dei Cinquestelle affondano nella giustizia sociale. Il Pd ha fatto un clamoroso errore nel non considerarlo, è evidente che una parte del nostro consenso appartiene al mondo progressista. Però io credo che uno dei valori fondanti della politica sia la lealtà, senza che essa significhi obbedienza cieca. Oggi abbiamo il dovere della lealtà verso questa alleanza. Salvini talvolta ha un’interpretazione estensiva del contratto di governo, non è detto che anche noi non faremo lo stesso. Non dimentichiamo, ad esempio, che la Corte Costituzionale ci impone di legiferare entro un anno sull’eutanasia legale…”
Sarebbe più che lecito dubitare sulla tenuta della maggioranza gialloverde, ma andiamo oltre. Nella sfida all’acchiappa consenso tra ministri, Salvini sembra avere staccato Di Maio.
“Non ne sarei così sicuro, tradurre i sondaggi in consenso vero non è mai automatico. Credo che la fase ascendente della Lega si sia bloccata. Salvini mi ricorda Pippo Baudo dell’epoca d’oro, uno che era dappertutto, ma poi è venuto a noia…”
Sarà…
“Credimi, noi siamo come un diesel, marcia più lenta ma sicura. E gli italiani lo hanno capito. Tanto per cominciare siamo gli unici che rinunciano all’indennità…”
L’argomento principe dei giorni difficili…
“Una maniera diversa di intendere la politica. In un anno ciascuno di noi lascia 24mila euro e non può trattenere più di 6.000 euro al mese. La restante cifra deve investirla in politica, in azioni sul territorio. Nel 2018 i parlamentari Cinquestelle hanno dato 12.000 euro alle popolazioni alluvionate. E chiunque può controllare sul portale Ti rendo conto”.
A proposito di portale: hai conosciuto Casaleggio?
“L’ho visto, non posso dire di averlo conosciuto. Mi dispiace, non posso soddisfare la tua curiosità…”
Puoi raccontarci il Movimento visto dal di dentro? Parlo della democrazia interna e non solo, dello spirito che anima i militanti che a volte sembrano virare sul fanatismo.
“Non è fanatismo, ho ritrovato la grande passione dei radicali degli anni ’70, la voglia di fare, l’impegno sociale. Forse si può dire che i Cinquestelle sono dei radicali di massa, la versione pannelliana 4.0, interpretano più direttamente i bisogni del popolo. E non è un caso che i radicali, importantissimi per decenni e fondamentali sui temi dei diritti civili, sono sempre rimasti minoranza e che il Movimento è diventato il primo partito d’Italia”.
Non è che lungo questo viaggio sia scomparsa la purezza dei primi giorni? Non è che in fondo in fondo non sia preferibile battersi per il giusto e non per il necessario, mantenere quella spinta idealista primordiale e rimanere minoranza? Perdona l’insistenza sui radicali, ma sempre si può trovare, in ogni stagione politica, una riforma epocale come il divorzio.
“Rimanere minoranza è molto più comodo, puoi dire e fare ciò che vuoi…”.
Che è quello che molti rimproveravano ai grillini.
“Ma ora noi governiamo, poche parole e molti fatti”.
Raccontami della tua vita a Roma.
“Ho preso una casa al quartiere Flaminio, lasciata dall’unico senatore non rieletto dei Cinquestelle”.
Evviva, non sei superstizioso…
“In realtà non è stato bocciato, non è stato nemmeno candidato”.
Solito problema di disciplina di partito?
“Spesso si tratta di incompatibilità con il Movimento e le sue regole, in alcuni casi qualcuno si sarà magari rivelato poco portavoce e molto autoreferenziale. Cose che avvengono in tutti i partiti, solo che dalle altri parti ci sono camere di compensazione e il famoso capo che decide per tutti. Da noi democrazia diretta, non c’è un solo capo, magari si creano problemi con i meetup locali e si arriva all’ostracismo”.
Spiegazione semplice e a suo modo convincente se il principio cardine resta quello che a casa propria ognuno applica le regole che vuole, più o meno democratiche. Dicevamo di Roma.“Mia moglie viene con me, una presenza insostituibile. Poi tanto lavoro, in particolare sul tema della violenza sulle donne e sui diritti dei disabili. Io adesso giro in carrozzina, non sempre ma spesso. Solo se ci sei costretto puoi capire la situazione di svantaggio che può assumere contorni mortificanti. E lo dico io che ho possibilità di regressione, pensa a chi ha la consapevolezza di rischiare di vivere un’intera vita da cittadino di serie B. In Parlamento abbiamo creato un Intergruppo disabilità. Hanno aderito in 60 tra deputati e senatori, uniti dalla sensibilità verso i temi dell’uguaglianza e della difesa dei più deboli”.
Il trionfo del bene comune sugli interessi di parte. Pensa se si potesse fare la stessa cosa per fronteggiare la più importante crisi economica e sociale dal dopoguerra. La Sicilia è in ginocchio, è ripartita l’emigrazione, l’occupazione è ai minimi storici. E il Paese sembra politicamente spaccato a metà.
“Cose da fare ce ne sarebbero, da fare tutti insieme, intendo. Ma il clima è davvero avvelenato. E c’è chi gioca per arrivare primo, per rivendicare il successo della propria parte. È ancora un’utopia giocare per divertirsi”.