Orlando furioso per un suca a Salvini

Al mio suca si scateni l’inferno. È quello che deve avere pensato Fabio Citrano, già vigile urbano, cronista sportivo in una ormai lontana stagione della vita e successivamente addetto stampa del Palermo calcio prima di approdare nella mini squadra dell’ufficio stampa del Comune di Palermo, attraverso un meccanismo che un giorno il legislatore dovrà avere la bontà di spiegarci.

Citrano è un giornalista pubblicista, quello che una volta si differenziava dal professionista per la mancata abilitazione attraverso un esame di Stato e per non trarre la principale fonte di sostentamento dall’attività giornalistica.
Via via negli anni la deregulation imperante in vari aspetti della nostra società ha portato ad annullare anche questa differenza. Questa nota a margine per avere chiaro il contesto in cui ci muoviamo.

Fabio Citrano SucaCitrano è un frequentatore di facebook. Spazia dal cibo alla politica, con ironia. Spesso. Con una buona dose di umorismo, spessissimo. Il suo marchio di fabbrica si racchiude in tre parole: punti di vista. Non ha mai nascosto le sue idee, anzi tende a ostentarle e questo rientra nello stile del personaggio. Si definisce comunista e forse lo è davvero nonostante oggi si faccia davvero fatica a definire un uomo attraverso quella parola. Il fascista, anacronistico tanto quanto, in fondo ha mantenuto una certa dottrina comportamentale che lo rende sempre riconoscibile. Il comunista no, le sue credenziali hanno bisogno di continui aggiornamenti. E forse è giusto che sia così, posto che dell’eredità politica e morale di Giorgio Almirante ed Enrico Berlinguer comunisti e fascisti contemporanei non hanno recepito una beneamata cippa.

Ma basta divagare. Manifestazione contro il decreto sicurezza, la chiamata alle armi di Leoluca Orlando a Piazza Pretoria. Passano poche ore e come un colpo di Colt 45, pumpum arriva il suca di Citrano indirizzato a Matteo Salvini. Una sola parola, un colpo secco tirato da una semiautomatica travestita da tastiera. E arriva al bersaglio. La risposta dello staff di Salvini non si fa attendere e sottolinea l’inadeguatezza del mittente in considerazione del ruolo che ricopre. Paradossalmente, il ministro sorride, invece si incazza di brutto Orlando e a suo modo ha ragione.

Da un giorno non si parla più della manifestazione contro il decreto sicurezza ma delle quattro lettere di Citrano, il vento ha cominciato a spirare alle spalle di Salvini che da bersaglio è diventato stoccatore. I 15 minuti di celebrità di Citrano offuscano la battaglia anti populismo lanciata dal sindaco. La polemica sul suca è la più clamorosa invasione di campo nella storia della comunicazione politica. Equivale per potenza devastante al famoso “mamma, mammina sei pronta” di Massimo Costa, candidato sindaco di Palermo nel 2012 e politico per un giorno. Solo che Costa ha pagato in prima persona la sua dabbenaggine, Orlando sconta l’esuberanza di un componente del suo staff. E il sindaco, che sul profilo dei collaboratori non transige, fa sapere via social di avere incaricato il segretario generale del Comune di valutare i provvedimenti disciplinari del caso. Una maniera esplicita per dissociarsi, è augurabile sia soltanto questo. Perché chi difende il principio astratto è pronto ad alzare barricate in difesa dei diritti del compagno Citrano.

Infatti il giornalista proprio a questo s’era attaccato dopo la reprimenda di Salvini, sostenendo che al Comune di Palermo i dipendenti sono liberi di esprimere le proprie opinioni dai profili social personali, chiamando in correità un’altra componente dell’ufficio stampa, Patrizia Biagi, a suo dire militante della Lega e critica nei confronti del sindaco dal proprio account facebook.

In punta di diritto credo che abbia ragione Citrano, la libertà individuale è sacra; sotto il profilo deontologico avanzerei qualche dubbio, ma siamo nel campo delle opinioni. Sotto quello professionale il suo errore è talmente evidente che se non fosse tutelato da un contratto festeggerebbe a casa la Befana. E lo testimonia la richiesta sanzionatoria di Orlando.

Tutto ciò ci porta all’amara conclusione che l’apertura senza filtri che assicurano i social necessita di un controbilanciamento in termini di regole scritte, laddove quelle dell’etica e del buonsenso non sono sufficienti, ancor di più se trattasi di dipendenti pubblici. Destò scalpore, qualche anno fa, l’indicazione perentoria che la direzione del New York Times fece ai suoi giornalisti rispetto all’uso di facebook. Una circolare molto limitante del libero arbitrio, poiché il giudizio di un solo giornalista, si sosteneva, avrebbe potuto compromettere la reputazione del giornale. Abbiamo compreso a scoppio ritardato, che non si trattava proprio di un’esagerazione. Solo che dalle nostre parti, dove la parola cultura è bandiera di troppe case, si preferisce affidarsi al buonsenso derivante da essa, specie quando si percepisce che scrivere un regolamento (figurarsi una legge) porta più problemi che benefici.

Può un Ente Locale applicare gli stessi principi del Nyt? Risposta negativa. E per vuoto giurisprudenziale. A dirla tutta il problema, almeno in questa fattispecie, sta nel fatto che Citrano, militante a tutto campo, trascura quel principio di imparzialità che nella pubblica amministrazione non può conoscere confini. Il cittadino Citrano è libero di insultare confidenzialmente un ministro, ma l’addetto stampa del Comune può avere lo stesso grado di libertà? Oggi facebook è un mezzo di comunicazione di massa. È consentito all’addetto stampa di Fiat esaltare la Panda e denigrare la Renault su un organo di informazione? E in ogni caso, non si compromette così facendo la reputazione di chi ti paga lo stipendio, chiunque esso sia? Facebook ha cambiato usi e costumi, anche e soprattutto nella maniera di comunicare. È meglio che i giornalisti per prima se ne rendano conto e si battano per darsi nuove regole. E invece oggi ci troviamo a discutere se il suca di Citrano non sia soltanto che una libera espressione del pensiero di un dipendente comunale. E sappiamo che non è così.

Altra questione: gli strafalcioni che spesso si imputano ai politici e che vengono compiuti dalle pubbliche postazioni ci portano alla più scomoda delle riflessioni. Gli organi esecutivi dovrebbero poter selezionare fuori dalle norme concorsuali il proprio ufficio stampa con decadenza alla fine del mandato politico. Si chiama spoiling sistem, è il migliore strumento conosciuto in tutto il mondo democratico per separare l’informazione di parte da quella istituzionale. L’ufficio stampa pubblico dovrebbe esistere solo per gli organi assembleari, per l’informazione di servizio. Senza considerare che i concorsi, troppo spesso condizionati da regole che non tengono conto della specificità del ruolo, producono effetti devastanti. Cioè assicurano un posto di lavoro a chi ha un titolo ma non le capacità professionali adeguate. Fare l’architetto o il ragioniere non è la stessa cosa che fare il giornalista, il titolo spesso non è la fotografia esatta delle doti di un professionista dell’informazione.

Detto questo il compagno Citrano sarà stato poco opportuno e di questo eventualmente ne risponderà alla sua coscienza, nel chiuso delle stanze di casa sua. Ma da oggi avrà preso consapevolezza, come si insegna nelle vecchie scuole di giornalismo, che il chi compie l’azione a volte pesa di più del cosa. Un suca del portiere di Palazzo delle Aquile fa meno effetto di quello dell’addetto stampa. Il soggetto prevale sull’oggetto. E l’insulto da curva nord, per quanto sdoganato persino in luoghi accademici, ancora provoca orticaria. Sarà ipocrita, ma è così. E infine che a essere più realisti del re si finisce col prendere calci nel sedere, perché al re, specie se intelligente, questa pratica a lungo andare è poco gradita.

Una cosa è inneggiare al sovrano durante la campagna elettorale a partita in corso, un’altra tracimare a giochi fatti e a trono già occupato. Perché Citrano, sempre dal suo profilo personale, quel suca l’aveva declinato tante altre volte in modi diversi e sempre a vantaggio del suo dante causa. C’è da pensare che stavolta proveranno a fargli pagare dazio, reo di cattivo gusto e di avere inopportunamente oscurato chi non doveva e quando non doveva. Capirà Citrano, magari ripensando ad una conversazione di qualche mese fa, che a volte il sovrano tende a trasformarsi in padrone. E non è mai solo colpa del sovrano.