È il Palermo di Stellonovski

La vittoria di Padova dice tante belle cose ma lascia nel sottofondo l’unica nota stonata con cui bisognerà convivere per il resto della stagione.

E partiamo proprio da questa, proprio per levarcela di torno nel giorno che conferma al Palermo il diritto di proprietà esclusiva del primo posto.

Ogni volta che cade un pallone in area si deve trattenere il fiato. La maniera di difendere, oltre che le caratteristiche dei singoli, non lascia mai tranquilli. Del resto, è vizio antico se si deve rifarci ai tempi di Barzagli (e Guidolin) per ricordare un decente assetto difensivo.
Detto questo si stendano i tappeti rossi al passaggio del mister perché sempre di più sta diventando il Palermo di Stellonovski. Imbattuto dal suo ritorno in panchina, capace di dare un’identità alla manovra e di farle riscoprire coraggio e aggressività nei momenti che contano. Magari non brillante nel suo lato estetico, ma sempre autoritario e sicuro di sapere cosa fare. Un Palermo che sa stare al centro del ring a fare a cazzotti ma che sa anche danzare attorno all’avversario come un Mohamed Alì che a tratti irrita in attesa di sferrare il colpo del cobra.
A Padova doveva vincere e lo ha fatto ribaltando risultato e avversario senza mai dare la sensazione di affanno anche dopo la bruciatura di Bonazzoli. Fare tre gol in trasferta non è mai facile, anche quando il divario appare netto come all’Euganeo. Tre gol che fanno parte del repertorio e che sottolineano le qualità corali e dei singoli e per i quali è giusto dare merito anche a chi li ha propiziati oltre a chi materialmente realizzati. Perché Trajkovski, Rajkovic e Nestorovski sanno di dover dividere il felice esito personale con gli autori del prologo, nell’ordine Aleesami, Falletti e Moreo, quest’ultimo addirittura determinante nelle ultime due marcature.
Il Palermo a trazione anteriore, con due trequartisti nei ruoli di esterni di fascia, incute timore. I pericoli possono arrivare da ogni giocata, senza dimenticare l’efficacia di Nesto – Moreo, che rimanda alla perfetta armonia delle migliori coppie d’attacco. Tutto ciò ha un regista che si chiama Roberto Stellone, che seduto sulla sua seggiola è riuscito a garantire un copione adeguato ad un cast che sino a due mesi fa non ricordava le battute e recitava alla maniera di una compagnia del dopolavoro.
Con i risultati è arrivata anche una robusta dose di autostima e la voglia di giocare, sempre, sino all’ultimo minuto, di credere che, nonostante la tormentata vicenda Zamparini -tutt’altro che risolta- la serie A è traguardo che si avvicina ogni settimana di più. A riprova che lo scenario del calcio è un verde rettangolo d’erba e che il resto deve rimanere a contorno.
Motivo per cui a sentir parlare di due diligence, azionisti misteriosi, atti notarili per i quali si esulta come fosse il gol di Brienza alla Juve, stadi da costruire e centri sportivi da progettare, si ricorre al Gaviscon Advance per fermare in automatico il reflusso gastrico. Il calcio, specie alla nostra latitudine dove rappresenta un fenomeno sociale di grande rilievo, non merita l’indecoroso antipasto di quella conferenza stampa che ha trasformato un dubbio in certezza. La nostra passione sarà il loro business, siamo un esperimento di laboratorio di un calcio che sta perfezionando la sua mutazione genetica. Il rischio Frankstein è concreto, che si sappia. E non abbiamo difese. Intanto consoliamoci con il primato e con la consapevolezza che non finirà come l’anno scorso. Anzi, azzardo una bestemmia: vuoi vedere che a fine stagione la media punti sarà superiore al Palermo di Iachini, Vazquez e Dybala? Le scommesse sono aperte.