Buon compleanno Palermo, sei nel club degli immortali
Sono poche in Italia le squadre di calcio come il Palermo. Lo dice la storia, non certo la bacheca dei trofei che si limita a sporadiche coppette. Ma questo aumenta il fascino e non svilisce la biografia di una società che oggi festeggia i suoi primi 118 anni. Perché non sono le vittorie, in moltissimi casi, a farti entrare nella leggenda ma l’epica del tuo vissuto.
Ci sono squadre, limitandoci all’Italia, la cui capacità di attrazione va ben oltre i successi e tra queste c’è il Palermo. Parliamo del Torino e delle sue leggende, di Gigi Meroni e di Radice, di Pulici e Graziani e di Claudio Sala, anarchico del pallone più che poeta del gol; e parliamo anche del Cagliari di Gigi Riva e di quello scudetto che sembrava impossibile e che fu il prologo dell’indimenticabile estate del 1970, dei mondiali in Messico, della staffetta Mazzola-Rivera e dell’indimenticabile Italia – Germania 4 a 3. In maniera più marginale inseriamo in questo club di immortalità calcistiche anche il Vicenza di Paolo Rossi e il Perugia di Castagner: per dirla come Mourinho, zero tituli, ma che imprese.
E poi ci sono le nostre maglie rosa, elegantemente portate in giro negli stadi della nobiltà italiana e della provincia più scarmigliata, un giorno champagne e l’altro pane e salame. Ieri la Juve, ieri l’altro la Pro Cisterna, domani chissà. È il destino del Palermo quello di non potere aspirare al pensiero del futuro, Zamparini aveva illuso un’intera città che fosse possibile e per questo oggi lo cornutiano senza soluzione di continuità, perché il tradimento fa più male del non amore.
Il nostro passato è fatto di pagine che, per citarne alcune, Fiorentina, Bologna, Verona e Sampdoria si sognano, nonostante abbiano vinto scudetti e segnato gol ben più importanti dei nostri. Gli manca l’originalità assoluta che parte dai colori sociali (nonostante Samp e Fiorentina, ad esempio, proprio su questo aspetto sono in prima fascia) e finisce ai personaggi disseminati nella linea del tempo. Con tutto il rispetto, uno come Raimondo Lanza di Trabia solo il Palermo ce l’ha avuto. E le nostre sconfitte nelle finali di Coppa Italia, ne vogliamo parlare? Il furto patito contro il Bologna, i misteri attorno alla partita con la Juve, l’onda rosa che invase Roma, le abbiamo perse tutte e tre ma quelle sconfitte rimarranno nella storia, non altrettanto si può dire dei vincitori.
E i nostri campioni? Non solo quelli dell’epoca di Raimondo Lanza che tutto poteva, per disponibilità economica, relazioni sociali e genialità, ma anche quelli che negli ultimi 60 anni hanno saputo accrescere l’appeal di questa maglia.
Vernazza è stato rosanero, come Broneè, Sukru e Vicpalek, per ricordare l’esotismo dei primi anni post bellici. Ma sono stati rosanero anche eroi nostrani come Burgnich o Mattrel, Causio e Furino, che per poche stagioni hanno arricchito d’azzurro il nostro curriculum, come dopo di loro Zaccardo, Barzagli, Grosso, Barone e Toni, campioni del mondo 2006, sino al piccolo grand uomo Ciccio Brienza.
Ciascuno di noi ha pagine di sentimento che prevalgono sulla ragione, i primi ricordi che ci portiamo dietro come inseparabili compagni di viaggio. Del mio Palermo di quando ero bambino sopravvivono sagome e cognomi a cui faccio fatica ad assegnare una fisionomia precisa. Cipollato ricordo fosse biondo e che sparì a metà campionato. Si disse che tornava ai campi del suo paese, una sorta di saudade in chiave veneta; di Geotti si sussurrava che non avesse tutte le rotelle a posto (“ma che vuoi, è un portiere…”, come dire che il ruolo imponeva un pizzico di lucida follia); c’era poi Tinazzi che si ficcò nella mia memoria per aver tirato tre volte un rigore sbagliandolo le ultime due, contro un ex compagno, quel Pontel che poco elegantemente gli fece alla fine il gesto dell’ombrello. E poi l’indimenticabile tiritera Ferretti, Costantini, De Bellis, Lancini, Giubertoni, Landri; Perucconi, Landoni, Bercellino, Benetti, Nova che marchiò per sempre il mio ’68. E mi trascinò lontano dalle cronache del terremoto e dalla tristezza della scomparsa del nonno di cui porto il nome. E poi Troja e il gol al Cagliari di Riva e la sua Porsche verde pisello mitologica quanto la sua prodezza, Pellizzaro e Vanello e quelli che nessuno calcolava e forse proprio per questo sono venuti con me. Mi riferisco a quelli come Pasetti e Vallongo, Larini e Mariani, gente a cui mancavano sempre tre soldi per fare una lira.
Ciascuno di noi ha poi il suo Palermo del cuore e nel mio caso non è quello di Delio Rossi, né quello di Guidolin. Sarebbe stato troppo semplice. Il mio ha 36 anni di invecchiamento, lo guidava Mimmo Renna e si schierava così: Piagnerelli, Volpecina, Pasciullo, Vailati, Di Cicco, Silipo; Gasperini, De Stefanis, De Rosa, Lopez, Montesano. Come detto non il più forte, ma ciascuno di loro portava dentro qualcosa che li rendeva unici, dentro e fuori del campo. È come se il cronometro del romanticismo si fosse fermato alla fine di quella stagione e il meccanismo inceppato per sempre. Poi altri giocatori si sono presi pezzetti di cuore, ma il battito animale appartiene a quella generazione di quasi fenomeni.
Per festeggiare questo prestigioso compleanno, propongo un gioco, ciascuno provi a dichiarare gli 11 della propria storia, magari ignorando anche il rispetto dei ruoli. Il mio Palermo sentimentale ha questi nomi: Ferretti, Vullo, De Bellis, Bencina, Di Cicco, Silipo; Gasperini, Vazquez, De Rosa, Zauli, Montesano. Per gli avversari obbligatorio portare un altro pallone, perché a questi quando glielo togli quello ufficiale?