Miccichè concede il bis: “Salvini resta uno stronzo. Che ne sa di Sicilia e migrazione…”
C’è chi ama i film di Eric Rohmer, prototipo di quel cinema francese che centellina le parole, asciuga i dialoghi e privilegia il cinema dei volti e delle situazioni, dall’andamento lento, che soltanto la folle passione per questo genere di sviluppo narrativo ti consente di vincere la voglia di cambiare canale. Rohmer o lo ami o lo odi. E in genere prevale la seconda tribù.
Gianfranco Miccichè è come Rohmer, genera odio in quantità superiore alla fazione opposta che è comunque abbastanza nutrita, forse in termini di consenso indiretto in misura maggiore anche rispetto alla stagione d’oro del 61-0. Allora era temuto e rispettato, ma amato solo e soltanto dal suo cerchietto magico. Oggi il presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana guadagna punti e consensi da ogni parte, persino quelli del campo avverso non lesinano applausi.
Merito del fatto che Miccichè è il più progressista (una volta avremmo detto comunista) del fronte destro e al gusto della battuta non rinuncerebbe neanche per una fornitura annuale di Sassicaia. Dannazione dei suoi avversari, gioia dei cronisti e soprattutto dei titolisti a cui anche ieri sera non ha fatto mancare la sua merce.
Dal palcoscenico del Teatro Massimo, in occasione del galà per il Burundi organizzato da Totò Cuffaro, ha ripreso dal suo repertorio il tormentone più azzeccato della travagliata estate appena trascorsa, fatta di storie di barconi sequestrati e di una tristezza istituzionale squarciata dalla sua invettiva contro Salvini. Il suo “è uno stronzo” ha fatto boom, la notizia c’era e i motori di ricerca non hanno faticato ad amplificare quel giudizio che andava oltre il semplice insulto. Stavolta Miccichè ha voluto ribadire il concetto, concedendosi anche un’analisi sociologica sui siciliani e la migrazione.
“Quello resta sempre uno stronzo. Cosa volete che possa capire uno che abita in Valtellina e non conosce la storia e il travaglio della gente migrante. Noi in Sicilia siamo 5 milioni, altri 5 milioni di siciliani sono sparsi per l’Italia e altri 50 nel mondo. Nella nostra radice storica c’è la contaminazione”. “Non c’è siciliano qui in sala – rivolgendosi alla platea del Massimo – che non abbia attualmente familiari o parenti stretti che vivono fuori dall’isola. Personalmente ne ho 4, compresa una figlia. E viene a parlare a noi di migrazione…”.
L’ovazione è stata autentica, pur in un consesso che non sempre gli è stato benevolo, perché parecchi tra i centristi (e i cuffariani nello specifico) non gli hanno ancora perdonato una certa tendenza accentratrice durante gli anni di splendore di Forza Italia. E siccome Miccichè non sarebbe Miccichè se non offrisse il petto a chi lo tiene sul mirino, ecco centrati due obiettivi in un colpo solo: l’allisciata senza rete per la critica, una vera e propria dichiarazione d’amore nei confronti di Cuffaro per il pubblico. “A Totò voglio bene e non ho accettato la sua gratitudine per averlo ospitato recentemente all’Ars per un convegno in cui si parlava di detenzione. Anzi, se il messaggio non fosse stato chiaro, lo ripeto: caro Cuffaro, quella sarà sempre casa tua finché io sarò presidente dell’Assemblea. E detto questo, non è che sono bravo io, sono scecchi quelli contestavano davanti a Palazzo dei Normanni”. Gli anni passano, la pancetta prospera, ma lo scatto è sempre bruciante. E questo signore, se si parla di comunicazione politica, dà ancora parecchi punti a cù si senti u’ megghiu.