Sonia Alfano: “Leggi speciali contro il femminicidio. Come fosse mafia”

Sonia Alfano
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“Quello che è accaduto ad Avola è l’ennesima conferma che siamo di fronte ad un vero e proprio allarme sociale. La donna è ancora considerata una proprietà, la vita di una donna meno di niente. Posso dirle una cosa? Come per la mafia sono necessarie leggi speciali, perché la violenza che le donne subiscono e che spesso sfocia in morte ha qualcosa di simile al fenomeno mafioso. Anche il femminicidio si è insinuato nella nostra società perché figlio di un retaggio culturale da contrastare e sconfiggere. Specie al sud, la donna è stata confinata ad un ruolo secondario. Quasi come un oggetto che se non serve si butta via”.

Dirompenti le parole di Sonia Alfano, proprio nel giorno dell’ennesima brutale e mortale aggressione di cui è vittima una donna siciliana. Stavolta l’assassino, secondo una orrenda variante del copione, avrebbe ucciso la madre al posto della figlia che lo aveva da poco lasciato. E così Loredana Lopiano, 47 anni di Avola, ha finito con l’essere vittima del solito e barbaro atto di ribellione di un uomo che non accetta la fine di un relazione sentimentale. La sua morte ha donato per la seconda volta la vita alla figlia, scampata a 19 anni ad una orrenda condanna.

“Se non sarai più mia, non sarai più di nessun altro – continua Alfano -. È in preda a questo delirio che l’uomo uccide, perché nella sua follia la donna e quindi la sua vita gli appartiene. Di fronte a questo non c’è maniera di difendersi se non attraverso una capillare azione di educazione al rispetto assoluto della vita che deve partire dai primissimi livelli scolastici. E poi, come per la mafia, che si studino leggi adeguate. Ci vorrebbe la stessa reazione che si verificò dopo l’omicidio di Pio La Torre, quando ci si convinse che per contrastare lo strapotere della mafia occorreva colpire il cuore dei suoi interessi economici. Se la sanzione non è adeguata non ci si può lamentare della serialità dei delitti. Ormai non c’è giorno senza un femminicidio o un delitto ad esso collegato. Io sono garantista, ma a volte giustifico il giustizialismo”.

A Sonia Alfano non manca il coraggio di pronunciare parole scomode. La vicenda personale legata all’omicidio per mano mafiosa del padre, il giornalista Beppe Alfano nemico giurato della criminalità organizzata a Barcellona Pozzo di Gotto, le ha insegnato a mettere sempre al primo posto la sacralità della vita e il ripudio di ogni forma di violenza. Missione che prevede un effetto collaterale: ipocrisia e politically correct vanno buttati nella pattumiera. Lo gridò in faccia all’Italia intera, nel giugno del 2017, il suo no alla scarcerazione di un Totò Riina morente. Non ha esitazione oggi a lasciare il garantismo chiuso a chiave. Diceva John Lennon: Woman is the nigger of the world. E all’alba degli anni ’70 si discuteva solo di discriminazione. Oggi di confine aberrante tra la vita e la morte.

“Ci sono casi in cui il garantismo seppellisce i diritti della vittima. Troppe volte abbiamo sentito che denunce di donne cadute nel vuoto e che le forme di persecuzione sono prologo di morte. Bisogna studiare sistemi di prevenzione che garantiscano di più chiunque sia soggetto a minacce. Non si può attendere il fatto compiuto, visto che spesso è l’anticamera di un omicidio. Del resto in Italia il reato di stalkeraggio è recente e questo la dice lunga. Le minacce non sono solo parole, non possiamo più correre rischi, basta niente per trasformare la rabbia in follia. Bisogna inasprire le leggi, non basta più l’allontanamento coatto che, peraltro troppo spesso viene violato. In attesa di un cambiamento culturale, per il quale è urgente impegnarsi sempre di più, ci vogliono leggi adeguati a questa che rappresenta una vera e propria emergenza. Non lo chiedono le donne, è un fatto di civiltà. Le voglio raccontare una mia vicenda personale al proposito…”

Lei è stata minacciata? “Sì, qualche anno fa cominciai a ricevere telefonate anonime”. Legata alla sua attività antimafia? “In quel caso opera di uno stalker che cercava una relazione sentimentale e sessuale. Io denunciai subito i fatti e gli investigatori riuscirono in breve tempo a risalire all’autore delle telefonate. Le faceva dal centro Italia, ma dimostrava di essere al corrente dei miei spostamenti e di molti particolari della mia vita. Telefonava con schede intestate alla sorella, ignara di ciò che stava accadendo. Lo stalker aveva avuto una precedente condanna per stupro di gruppo. Ecco perché io raccomando sempre di denunciare già dai primi episodi, la tempestività può salvare la vita. E aggiungo: le donne devono accettare che l’amore di un uomo che picchia e ricorre a varie forme di violenza non è vero amore. Non bisogna coprirli, ma metterli di fronte alle proprie responsabilità per tutelare la propria esistenza e spesso quella dei figli. E chiunque assiste in silenzio, senza provare a fermare questa spirale di violenza, sappia che è complice. Spesso complice di un assassinio”.