Tenerumi, mon amour

A Palermo non è estate senza la lagenaria longissima. Ogni palermitano che si rispetti la ama smodatamente, la conosce sin dalla nascita e ne ha fatto un simbolo unico e inimitabile. E con certezza nessun palermitano la chiama così, con la sua classificazione scientifica, perché preferisce ricorrere a un nome che è già una promessa di lussuria e goduria a tavola, ovvero tenerumi.

Le foglie verdissime e i germogli della zucchina serpente sono il must dell’estate da Cefalù a Terrasini, declinate in ricette che si tramandano da generazioni o in sperimentazioni che spesso lasciano l’amaro in bocca. Tale è la passione per i tenerumi da aver dato vita a scuole di pensiero che da anni dibattono su come prepararla. C’è la filosofia cosiddetta purista secondo cui il pomodoro fresco saltato in padella, il picchi pacchi, va aggiunto solo a metà cottura del tenerume nell’acqua bollente.

“Ci dà il gusto sennò non sa di niente, resta scipito” sentenziano i docenti di quest’università senza ammettere variazioni sul tema. “Ma quando mai, si mette dopo che scoli i tenerumi” replicano i docenti dell’altro ateneo, meno aderente alla tradizione e più incline all’innovazione. Stanno addirittura prendendo sempre più piede le correnti avanguardiste sul tema. C’è il futurista che al mix tenerumi picchi pacchi aggiunge una patata bollita, c’è il post moderno che trita le zucchine e le unisce ai tenerumi in cottura. E ci sono addirittura gli amanti del pop che la mangiano in versione pastasciutta contravvenendo alla regola aurea che indica nella minestra di tenerumi bollente un rimedio infallibile per resistere alla calura dell’estate.

Capita oggi di assaggiare anche varianti di un qualche interesse ma che, ammettiamolo, sono altra cosa. Certo buona la pasta tenerumi e cozze e discreta quella tenerumi e fagioli. “Però quella che fa la mamma è super, Cracco si può ammucciare” risponde con fierezza il palermitano quando decanta le lodi di questa meraviglia per il palato.

Su poche cose, tutti in terra panormita si trovano d’accordo come sul cibo. La salsiccia si può definire tale solo se contiene il finocchietto, va evitata come la peste la panna nella pasta col pesce (nessun palermitano accoppierebbe i ricci, per esempio, a qualsiasi altro condimento che ne rovini il sapore), la crosta del cannolo deve essere croccante per rompersi sotto i denti al primo morso, le melanzane della parmigiana vanno fritte a fuoco alto. E la pasta con i tenerumi si mangia “riposata”, in modo da far amalgamare tutti i sapori che la incoronano regina dell’estate a Palermo.

La parente di una mia amica non godeva di buona salute. Era molto in là con gli anni e le era proibito anche solo di pensare ai carboidrati, a ogni forma di soffritto e alle verdure a foglie lunghe. Eppure puntualmente a luglio, si alzava dalla poltrona per preparare una pasta con i tenerumi fatta come si deve, con l’aglio ben cotto nell’olio e mischiato al pomodoro, le foglie di zucchina serpente sapientemente bollite. Per finire aggiungeva alla minestra due ingredienti segreti, ovvero tocchetti di caciocavallo e due piccole acciughe. Insomma il risultato finale era una bomba persino per chi avesse avuto uno stomaco d’acciaio, immaginarsi per chi come lei era molto sofferente. Ma lei non desisteva e di fronte alle proteste dei familiari, impugnava il cucchiaio e rispondeva seraficamente: “Così voglio morire”.