Barbera dinasty: ecco gli Agnelli di casa nostra
Il ricordo di Renzo e Ferruccio, entrambi scomparsi a maggio. E degli altri uomini del casato che ha segnato la storia siciliana
Renzo e Ferruccio hanno scelto lo stesso mese per passare ai saluti. Ed anche chi è ancorato al razionalismo più esasperato fa fatica a pensare che sia stato un caso. Perché i due uguale non avevano solo naso, altezza e cognome. Un cognome, Barbera, che a Palermo, con le dovute proporzioni, equivale a quello degli Agnelli di Torino. E non ci riferiamo, ovviamente, agli aspetti economici e di potere, quanto alla suggestiva forza evocativa di una dinastia di una famiglia che, vuoi o non vuoi, dalla metà del secolo scorso ha inciso nella storia minore del capoluogo siciliano. La storia minore è qualcosa di meno di quella con la esse maiuscola che segna le vicende di una comunità, ma decisamente qualcosa di più della cronaca. Basti pensare all’intitolazione di uno stadio che garantisce di per sé un ricordo che sfiora l’eternità.
Dunque, guardiamo da vicino questi Agnelli di casa nostra, almeno il ramo maschile, ché le donne, eleganti e raffinate, sono state sempre un passo indietro. E anche questo potremmo chiamarlo destino.
C’è Renzo, mitica figura di mecenate sportivo che s’inventa il miracolo calcistico della Juventina ancora prima di diventare il presidentissimo del Palermo. E c’è Renzino, cugino meno noto negli ambienti sportivi, ma assai famoso in quelli culturali. Attore, poeta, finanche cabarettista sia pure tirato per i capelli, conduttore di programmi radiofonici nella Rai a cavallo tra gli anni ’60 e ’70. Faceva di tutto per potersi consentire il lusso di non avere scassati i cabbasisi dagli affari di famiglia e restare nel suo eremo di Taormina a pensare in siciliano. Perché da siciliano d’altri tempi scelse di vivere, con quel filo di nobile strafottenza che sembrava snobbismo a chi non aveva accesso al suo cuore. E invece era l’atto d’amore più profondo verso la terra che l’aveva generato, pasciuto e plasmato.
Niente a che vedere con il cugino Renzo, la cui natura metropolitana veniva messa in discussione soltanto dai venti e dal rumore delle onde di Pantelleria, passione sovrana che ha trasmesso a figli e nipoti. Di Renzo s’è raccontato ogni cosa perché tornando all’immagine di casa Agnelli, lui era come l’Avvocato. Fascinoso, amico di tutti e di nessuno, capace di essere popolare suo malgrado. Non che disdegnasse il bagno di folla, anzi la sua vicinanza alla ggente è stato un fattore determinante della sua popolarità nelle curve della Favorita. Però alla fine della storia il suo essere borghese uno spazio lo reclamava.
Ma nonostante l’ingombrante padre, è stato Ferruccio a prendersi la scena a più riprese. Volente o nolente sempre sotto i riflettori, sia giovane sposo esiliato a Pantelleria alla ricerca della sua identità di uomo che maturo manager della comunicazione, passando per il clamore della tv – Io vedo Cts regolava la vita domestica di migliaia di famiglie – e delle più complesse vicende private a tinte noir. Di Renzo e Ferruccio abbiamo scritto molto in passato e se non vi annoia, abbeveratevi alla nostra parzialissima fonte.

A completare il quadro della dinastia maschile del casato ci sono Giuseppe e Manfredi. Il primo è stato il mito di molti di quelli cresciuti con la rivoluzione dietro l’angolo. Giuseppe, compagno di Lotta Continua, padrone di quella casa dove prendeva forma la satira e la perfidia del Male, intellettuale per indole e botanico per professione, una vita a conciliare dentro di sé l’esistenza leggera di padre e fratello, senza mai discostarsi dalla dimensione dell’amore che in questi casi non è un atto scontato. Il suo cognome l’ha portato in maniera sobria, anche quando è finito in prima pagina. Assessore di una recente stagione orlandiana, non ha perdonato un divorzio definito pretestuoso, ma ha risolto la cosa alla sua maniera: togliendo il saluto a Leoluca. Questione di stile.
E poi c’è Manfredi, il manager rigoroso che ha sostituito il se stesso giovane con l’aria da fricchettone, il rampollo più corteggiato della sua generazione. Perché una cosa bisogna dirla: che ti chiami Renzo o Renzino, Ferruccio, Giuseppe o Manfredi, gli uomini di casa Barbera hanno sempre suscitato un certo nonsochè sull’universo femminile. Manfredi è l’uomo che s’è caricato il peso di oltre 120 anni di storia e ha rilanciato l’azienda che porta il marchio di famiglia nel campo dell’olio, facendone un’eccellenza e un punto di riferimento anche nel marketing che spesso è stato il punto dolente dell’imprenditoria siciliana del settore. L’idea dell’etichetta Numero 5, quasi fosse il famoso Chanel di Marylin, è una figata pazzesca. L’olio è buono di suo, ma la suggestione lo rende ancora migliore.
Scusate la lunga divagazione, dicevamo di Renzo e Ferruccio. Affinità elettive spinte al massimo e non è un caso che i due si capissero solo sfiorandosi con gli sguardi. I figli sono tutti uguali? Stratosferica minchiata, ci suggerirebbe Renzino via cavo. È vero che si amano a prescindere da ciò che esprimono, ma con alcuni la sovrapposizione più è facile. Renzo e Ferruccio erano amabili alla stessa maniera e allo stesso modo detestabili, quando volevano. Preparatevi alla bestemmia: di calcio capivano poco entrambi, ma il viverlo in maniera così passionale faceva passare in secondo piano il limite primordiale. Per andarsene hanno scelto lo stesso mese, l’indecifrabile maggio, messaggero del calore che arriverà e memoria di un freddo che non si rassegna. Hanno scelto maggio – Renzo 3 anni e 6 giorni prima di Ferruccio – per lasciare su questa terra solo la loro scia di vita vissuta. Quelli che si chiamano ricordi e che per alcuni che hanno incrociato la nostra vita ci rifiutiamo di catalogare come tali, forse per annullare una realtà che non ci piace. Sarà la suggestione, ma passando da via dei Nebrodi, dalle parti del civico 13, non sentite ancora anche voi quel profumo di colonia inglese?
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