Perché San Remo è Sanremo

Le canzoni sono un po’ come le persone. Non possono piacere a tutti e molte non si spiegano al primo ascolto.

Il festival nella sua gestione Baglioni sembra avere lasciato più degli altri anni qualcosa di incompiuto. Che vedremo come si dispiega nelle prossime serate. Ha iniziato con un monologo, in cui diceva che le canzoni sono arte povera e un pugno di riso. Definizione che va bene per una melodia ma anche per un ristorante cinese.

Il buon Claudio per tutta la serata è sembrato come i mutaforma. Le creature che assumono le sembianze del soggetto che hanno davanti. È sembrato ottimo cerimoniere delle persone con cui si è interfacciato. Lampi di classe, per carità, come nei duetti con Morandi (sublimi) e con Fiorello, però anche lì, alla fine ha fatto da groupie che conosce la canzone del suo idolo dove il suo idolo è lui stesso. Lui e Fiorello sembravano due aspiranti alla presidenza e vicepresidenza americana, dove però la porca figura la fa il vice mentre il presidente annaspa sulla politica dei tagli alla sanità. Insomma l’impressione è uguale a quella di un governo tecnico. Fatto da persone esperte nel loro settore ma a cui non sai quanto ti devi affezionare. E questo lo diciamo anche perché conosciamo la titanica preparazione di palco di Baglioni. Ma sembrava facesse fatica, come se l’avessero spogliato dei panni del cantante e non ancora messo in quelli del conduttore.

Michelle Hunziker e Pierfrancesco Favino hanno fatto il loro, per dirla come nel calcio, sono ricorsi al mestiere e si vedeva che erano emozionati, hanno dalla loro un fascino involontario, molto limpido entrambi. Però sono stati all’altezza. Fiorello è stato come Cutrone nel Milan. Lo metti come ornamento e poi toglie le castagne dal fuoco, mentre i titolari designati hanno le polveri bagnate.

Più di ogni anno è stato il festival social, ognuno di noi ha commentato le canzoni e ironizzato come certo al massimo facevi al bar cinquanta anni fa.

Le canzoni sono ovviamente il centrotavola ricamato ad uncinetto della stanza da pranzo del festival. Non si spostano e sono il fulcro dell’evento. A prescindere dalle chiacchiere, in tema di carnevale. Personalmente ho apprezzato molto Ermal Meta e Fabrizio Moro, oltre ai Decibel per cui faccio un tifo poco britannico. I due ragazzi sono stati subito coinvolti dalla spada di Damocle di una squalifica, per un testo già sentito, rimane da vedere se non è stato eseguito in pubblico, fosse anche alla sagra della pecora di Tor Cencione. I Decibel non si sono piazzati tra i primi posti, pur con una canzone particolare e interessante e in piena linea musicale del gruppo e un buon intermezzo inglese. Le altre canzoni hanno visto buone prestazioni di Nina Zilli vestita da regina Gorgo di Sparta, Lo Stato Sociale con una ballerina molto brava ma che ci ha fatto temere di rompersi ad ogni piroetta. Bella la canzone della Vanoni con Bungaro e Pacifico, belli musica e testo e forse molto ha prevalso nel rispetto il fatto che si avesse un mostro sacro come la Vanoni davanti. I Pooh non si sono presentati insieme ma divisi, PO e OH. Hanno fatto come i velociraptor, manovra a tenaglia. Da un lato Fogli e Facchinetti mettevano all’angolo la preda con versi intimidatori come “muariree” e “cuareeee”, dall’altro il buon Red divorava tutte le donne nubili che non possono essere mogli e madri con la sua canzone.

Però dicevamo, le canzoni sono come le persone, appunto. Non si spiegano al primo ascolto, quindi direi di fare come con chi abbiamo a cuore, proviamo a riascoltare almeno una volta. Magari due. Poi basta. Piccola parentesi per i Decibel. Si ripresentano a Sanremo dopo Contessa, di tanti anni fa. La canzone si chiama lettera dal Duca. Ritornano con questo strano collegamento alla nobiltà. Conoscendo un po’ Enrico, credo non sia un caso.

Chiosa finale sul nome della città, che sarebbe sbagliato scrivere “San Remo”. In realtà sia il nome attaccato, sia quello diviso, sarebbero giusti entrambi, tanto che le indicazioni stradali e ferroviarie lo tengono staccato. Tuttavia una lunga querelle che parte dal periodo fascista per arrivare al 2002 ha visto a lungo entrambi i nomi giocarsela e poi vincere la forma contratta, derivata da San Romolo Leggendo un po’ le polemiche immancabili anche su questo, ho trovato questa curiosità che forse mette d’accordo tutti.

Ma in tempo di social, di canzoni, di opinioni, di elezioni e quant’altro immaginate finisca in “oni”, quando mai Sa(n)remo d’accordo?