Leoluca nacque democristiano, Orlando finì democratico

La cotta per Prodi nel 1999, poi la rottura e anni di diffidenza. Oggi il ritorno al punto di partenza e il regalo a Giambrone

Certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano. Lo ricorda persino la biografia di Leoluca Orlando, pubblicata sul sito del comune di Palermo. Era il 1999, quando Orlando aderiva al partito dei “democratici” fondato da Romano Prodi. Nel 2001, invece, candidato alla presidenza della Regione contro l’allora assessore uscente all’Agricoltura, Totò Cuffaro, fu sostenuto dalla Margherita e dall’Ulivo. Poi la rottura. Gli scontri feroci, gli anni in cui il Pd e Orlando sono stati diretti competitor, l’esperienza nell’Italia dei Valori al fianco di Antonio Di Pietro.

Ma certi amori, si sa, fanno dei giri immensi e poi ritornano. A Palermo si dice di due persone che si “annusano”, si “naschìano”. E questo giro di profumi, questa danza dell’innamoramento in cui vince chi fugge, si è ripresentata proprio nella stagione dell’amore, la primavera dello scorso anno. Quando Orlando ha riproposto la sua esperienza e il suo saper fare il sindaco agli elettori palermitani e il partito democratico ha deciso di puntare su di lui. Con non pochi ostacoli, come in ogni corteggiamento che si rispetti. Così ecco che il Pd ha sostenuto Orlando, ma quasi a sua insaputa, nascosto in una lista civica, in cui il simbolo del partito democratico non appariva. Un modello “vincente”, quello di Palermo, dal momento in cui Orlando è stato riconfermato con un plebiscito di consensi rispetto a Fabrizio Ferrandelli. In quell’occasione, nell’euforia della vittoria, Orlando arriva a negare un’intervista ad Enrico Mentana, “reo” di averlo definito un “sindaco del Pd”. Il mio partito è Palermo, aveva precisato Orlando in quell’occasione, facendosi tacciare come uno che “si comporta come un bambino” da Mentana nella sua maratona elettorale. “Noi ci scusiamo con Orlando – aveva sottolineato Mentana – per l’offesa terribile, per avergli detto che prendeva i voti del Pd. Speriamo che in un’altra occasione faccia a meno dei voti del Pd”.

Ancora oggi Orlando dice che il suo partito è Palermo e che porterà il modello Palermo dentro il Pd. Ma questa volta con una tessera in tasca. Intanto quel modello vincente si è rivelato sul serio, almeno nel capoluogo. Talmente vincente da riproporlo, ad ogni costo, alle regionali, sotto il nome di un esponente della società civile di alto profilo, il rettore dell’Ateneo Palermitano, Fabrizio Micari. Di mezzo, lo strappo con Piero Grasso, lui sì, a un passo dalla fuoriuscita da casa dem, per costruire il nuovo percorso di Liberi e Uguali.

Oggi la partita è quella delle politiche, dove bisogna “fermare i populismi” precisa Orlando. Giambrone candidato? “Valuteremo” taglia corto il diretto interessato, che però a sua volta annuncia il suo ingresso in casa dem. Perché gli amori non finiscono. Fanno dei giri immensi, a volte. Ma poi ritornano.


Foto copertina ©Studio Camera