“La mafia nelle fiction? Salvo solo i Sopranos…”
Dopo le polemiche sul caso Francese, sentite lo storico Salvatore Lupo: “Gli autori dovrebbero dire che sono solo film e non c’è pretesa di verità. La mitizzazione è fastidiosa e poi troppe inesattezze. Meglio negli Usa, non fanno retorica. Mi parlano bene di Gomorra, ma non l’ho vista…”
La settimana si è aperta – con non poche polemiche – con la fiction trasmessa da Mediaset sul giornalista ucciso dalla mafia, Mario Francese, interpretato dal palermitano Claudio Gioè. Sullo sfondo, i due maggiori quotidiani del capoluogo, La Repubblica e il Giornale di Sicilia, che se le danno di santa ragione, a suon di editoriale. Ieri sera la Rai ha risposto al Biscione con la fiction su Rocco Chinnici, interpretato da Sergio Castellitto. Tante, le domande sorte in questi giorni, sui social, all’interno delle redazioni, nei bar, nei palazzi del potere. “A Palermo – ammette lo storico Salvatore Lupo – la situazione è un po’ sfuggita di mano”.
Secondo il docente universitario, che ammette di non vedere fiction di mafia da molto tempo, “non si può fare un discorso troppo serio, sono solo fiction. Servirebbe che gli autori non andassero in tv dicendo che quella è la verità, ma che ammettessero che è solo un film”.
Insomma, quella che prova nei confronti delle fiction è quasi un’idiosincrasia.
“Sì. Sarà anche un problema generazionale, chi è nato negli anni ’50 ha ben impresso quello che è avvenuto tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’90”.
Pensa che le fiction non ne facciano un resoconto fedele?
“Vede, nelle ricostruzioni mediatiche gli uomini dello spettacolo operano una doppia mitizzazione. Degli uomini dell’antimafia, che sicuramente in molti casi sono stati degli eroi, ma non sono miti. Non mi piace la mitizzazione. La perfezione non è artistica, un personaggio deve essere contraddittorio per essere fedele alla realtà”.
Lei ha parlato di doppia mitizzazione.
“Sì, perché poi c’è la più pericolosa mitizzazione del mafioso, rappresentato come un uomo capace di prevedere prima le mosse del suo rivale, di pianificare, di batterlo sempre in anticipo. Ecco, prenda La Piovra: all’infinito veniva rappresentata questa idiozia, mentre questa brutta bestia, pur tra mille difficoltà e contraddizioni, è stata contrastata eccome”.
Insomma, non è una rappresentazione fedele.
“Io vado oltre. E dubito che i risultati artistici siano buoni. Perché questa rappresentazione plastica tra superbuoni e supercattivi non lascia spazio alla rappresentazione artistica. Poi, da storico, c’è anche un altro aspetto. Ma quello è un problema mio”.
Quale?
“Mi danno fastidio le inaccuratezze”.
Il rischio è di tramandare una memoria inesatta?
“Così non si tramanda memoria, sono operazioni di facciata. Non ci dobbiamo contare troppo sulla memoria, sono passati 25 anni e certamente non è una fiction a costruire memoria. Costruisce retorica, quello sì. E tutti, vecchi e giovani, sono vaccinati alla retorica. Che poi ci può anche stare, se fatta bene”.
Per esempio?
“Ci sono alcuni film americani fatti molto bene. Penso ad alcuni film di Scorzese, Mean Streets, Quei Bravi Ragazzi, Casinò. Sono privi di questa retorica, non c’è questo approccio moraleggiante”.
Tra le produzioni italiane non si salva nulla?
“Mi dicono che Gomorra sia fatto bene. Io non l’ho seguito, ma ne parlano molto bene”.
E lei? Quale serie tv ha seguito?
“I Sopranos. Quelli non li batte nessuno”.