Il ritorno di Renzo Barbera, presidente per un giorno

Intervista impossibile con il “capo” più amato della storia del Palermo proprio nel giorno in cui la città teme un nuovo e irreversibile crac. I rapporti con la politica, la crisi finanziaria, le storie e i campioni di un’epoca passata. Guardare a ieri per capire la crisi di oggi. E un consiglio a Zamparini…

“Ai miei tempi c’era Silvino Bercellino, straniero in Sicilia quanto Nestorowsky perché parlava il piemontese che in quanto a comprensione non era tanto diverso dal macedone. In curva i cori per lui partivano sulle note di Torero Camomillo, la canzone dello Zecchino D’oro. Le curve, ma anche la tribuna, il parterre e la gradinata cantavano la canzone dello Zecchino D’Oro…”

Renzo Barbera forse non è stato il migliore presidente del Palermo in quanto a risultati ottenuti, ma è certamente il più amato. Tanto amato – e rimpianto – da essere disturbato persino nel luogo più lontano che si possa immaginare da un campo di calcio. E da quello stadio che porta il suo nome, omaggio di una città che oggi ancora una volta ne invoca il nome.

È calata una cappa di tristezza dopo la richiesta di fallimento del Palermo, secondo la Procura sommerso da una montagna di debiti. Il rischio di una nuova radiazione, dopo 30 anni e un decennio buono trascorso a ripulirsi l’immagine e riguadagnarsi la dignità sportiva, è tanto forte da consentire questa operazione nostalgia attraverso un’intervista impossibile.

E così Renzo Barbera torna per un giorno a parlare di calcio, riallacciando i fili del discorso partendo proprio dal giorno in cui abbandonò via del Fante. Perché forse la storia di oggi è sottilmente legata a quella di ieri.

“Non direi, allora il Palermo era di competenza di un partito, la Democrazia Cristiana. Non vi devo spiegare chi era il mio vice, l’uomo che doveva occuparsi di trovare le risorse e tenere i rapporti con le istituzioni. Allora comandava la politica, noi avevamo il compito di tenere i conti a posto dal punto di vista economico e sportivo. Comandava la politica, inutile negarlo. Oggi c’è invece l’alta finanza, le banche, le reti di mediatori che girano attorno ad un calcio che sempre di più rappresenta la metafora perfetta della nostra società. Volete per caso farmi credere che oggi in Italia c’è il primato della politica? Andiamo, non scherziamo, manco da un po’, ma leggo i giornali”.

Saprà quindi dell’istanza di fallimento che incombe sul Palermo…

“Certo, non è la prima volta che accade, magari non con queste proporzioni. Ai miei tempi però nessuno accusò di taroccare il bilancio. Maurizio Zamparini ha scritto pagine importanti, ha portato a Palermo campioni incredibili, ma significherà qualcosa se il presidente più amato resto io, nonostante Pastore, Cavani, Vazquez, Dybala, Miccoli, Toni, Corini, Barzagli e compagnia bella”.

Dove ha sbagliato Zamparini?

“Sino alla finale di Coppa Italia è stato fantastico e i suoi errori marginali. Non capisco cosa è accaduto dopo perché con tutti i soldi che ha incassato dalle cessioni non si poteva andare in difficoltà economiche. E se così fosse avrebbe fallito sotto il profilo della gestione sportiva. Poi non ha saputo stare al suo posto, la mentalità da padrone lo ha tradito. Fin quando ha potuto investire denaro è riuscito ad ovviare agli evidenti difetti caratteriali. Alla fine la crisi ne ha ridimensionato le possibilità di spesa e sono venuti a galla tutti i suoi limiti. E non dimentichiamo l’età, che incide, eccome se incide”.

Ha messo come presidente Giovanni Giammarva, un uomo che di conti se ne intende…

“Una scelta omeopatica, vista la situazione: similia similibus curantur”.

Presidente, anche lei come Lotito contagiato dal latino?

“Chiamalo fesso, si è creato un personaggio, cosa che nel calcio di oggi ha un suo peso. È stato l’ultimo presidente ad avere goduto dei favori della politica. La Lazio doveva fallire, l’hanno salvata e Lotito comunque ha dimostrato di capirne di calcio. Almeno lui…”

Vuol dire che Zamparini è incompetente?

“Ha altre domande?”.

Al Palermo come finirà?

“Spero che Zamparini riuscirà a dimostrare di avere ragione. Sarebbe la vittoria più importante. Però poi se ne vada”.

Operazione amarcord: i 5 giocatori migliori della sua gestione”

“Benetti, Furino, Causio, Vanello e Troja”.

Cosa le manca di più della sua vita da presidente?

“Tornare a casa a piedi, alla fine della partita, dallo stadio a casa mia in via dei Nebrodi. Se si vinceva era una passerella gioiosa, se si perdeva erano i tifosi a consolare me”.

Dice, un’altra epoca e un altro calcio. Vero. Bisogna solo mettersi d’accordo se “un altro” non è sinonimo di meglio. Facile rispondere per me che le partite le guardo dalla Nuvola d’Autorità: meglio il mio calcio, ero vivo.