La quinta mafia, la Stidda, uccise Rosario Livatino, il giudice ragazzino di cui aveva paura
Il giudice Rosario Livatino muore vittima di un agguato mafioso la mattina del 21 settembre ’90 su un viadotto lungo la SS 640 Agrigento-Caltanissetta. Mentre si reca al Tribunale di Agrigento, la sua Ford Fiesta amaranto viene accostata da un Fiat Uno bianca da cui gli assalitori sparono con una mitraglietta. I colpi fanno sette buchi sulla fiancata sinistra della Festa, mentre una pallottola colpisce Livatino alla spalla. Una moto Honda con altri due killer armati segue da vicino le auto. Livatino esce dalla macchina, scavalca il guard rail e cerca di fuggire buttandosi giù dal burrone. Viene inseguito, raggiunto e ucciso spietatamente. I sicari lo circondano e gli sparano con una mitraglietta calibro 12, una pistola automatica calibro 9, un revolver. Infine un colpo di lupara in bocca.
Il giudice aveva scelto di rifiutare la scorta, per non impressionare la madre. Accorrono sul posto i colleghi del giudice assassinato, anche l’allora procuratore aggiunto Giovanni Falcone, da Palermo, e Paolo Borsellino, da Marsala.
L’omicidio è opera di criminali affiliati alla Stidda, la cosiddetta quinta mafia, organizzazione minore rispetto alla Sacra corona unita pugliese, la Camorra campana, la ‘Ndrangheta calabrese, Cosa nostra siciliana. La Stidda opera in alcuni capoluoghi siciliani, Agrigento, Caltanissetta, Enna e Ragusa ma principalmente in quello nisseno e agrigentino. Un’organizzazione che come le altre mafie si è evoluta e ben radicata, presente anche in molte province del nord Italia.
Un testimone oculare, Ivano Nava, agente di commercio che si trovava a passare sulla sua Lancia Thema, assiste all’omicidio e grazie a lui le indagini giungono a identificare i componenti del commando omicida e i mandanti. Vengono condannati all’ergastolo gli esecutori Paolo Amico, Domenico Pace, Gaetano Puzzangaro, Salvatore Calafato, Gianmarco Avarello e i mandanti Antonio Gallea e Salvatore Parla. Tredici anni sono inflitti a Croce Benvenuto e Giovanni Calafato, entrambi collaboratori di giustizia.
Il supertestimone del delitto Livatino, Pietro Ivano Nava, all’epoca 40 anni, milanese di Sesto San Giovanni, diviene un simbolo del dovere civico di denuncia del crimine e di lotta all’omertà, ma paga molto caro il suo gesto. Per sfuggire alla vendetta della Stidda perde il lavoro, la casa, gli affetti è costretto a cambiare identità, anche ad emigrare all’estero.
La sentenza del processo sull’omicidio Livatino avalla la testimonianza dei collaboratori secondo la quale il giovane magistrato viene fatto ammazzare dagli ‘stiddari’ per punire un giudice severo e imparziale da cui non potevano aspettarsi atteggiamenti meno che inflessibili, ma anche per ”lanciare un segnale di potenza militare verso Cosa Nostra’’.

Il “giudice ragazzino” si era laureato a 22 anni cum laude all’Università di Palermo. Prestava servizio come vicedirettore dell’Ufficio del Registro di Agrigento, quando scelse di entrare in magistratura presso il Tribunale di Caltanissetta nel 1978, dopo essersi classificato tra i primi in graduatoria nel concorso per uditore giudiziario. Trasferito il 29 settembre ’79 al Tribunale di Agrigento come Sostituto Procuratore della Repubblica, per un decennio, fino al 20 agosto ’89, si occupò delle più delicate indagini antimafia, di criminalità comune ma anche (nell’85) di quella che dopo il ’92 sarebbe stata chiamata la “Tangentopoli siciliana“.
Una delle indagini riguardò l’allora ministro Calogero Mannino (UDC). Interrogato da Livatino, dopo la sua morte Mannino verrà poi arrestato nel 1995 per concorso esterno in associazione mafiosa ma assolto in appello nel 2008, per mancanza di prove. L’inchiesta sulla cosiddetta “Tangentopoli siciliana”, riguardava gli accordi tra mafia, politici e imprenditori locali, che permisero l’infiltrazione di Cosa Nostra negli appalti pubblici. Le indagini fecero emergere che Salvo Lima era la “mente” della Sirap, la società regionale costituita nel 1983 attraverso la quale un comitato d’affari di politici e imprenditori, d’accordo con la mafia di Totò Riina, riusciva a gestire centinaia di miliardi di appalti. Nel 1988 furono affidati alla Sirap duecento miliardi di lire per la realizzazione di aree artigianali in nove comuni siciliani.
Dal 21 agosto ’89 Rosario Livatino prestava servizio presso il Tribunale di Agrigento quale giudice a latere e della speciale sezione Misure di prevenzione. Quel 21 settembre del 1990 Livatino avrebbe dovuto decidere se quindici capiclan di Palma di Montechiaro dovevano essere condannati al soggiorno obbligato fuori dalla Sicilia. Una ragione in più per far tacere per sempre quell’impavido giudice ragazzino.
Timeline del 21 settembre – Accadde oggi, a cura di Filippo Barbaro
1551 – A Città del Messico l’arcivescovo Juan de Zumárraga e il viceré Antonio de Mendoza fondano la Reale e Pontificia Università del Messico (oggi UNAM), la più antica università d’America
1792 – La Convenzione nazionale francese vota l’abolizione della monarchia: nasce la repubblica francese
1924 – Viene inaugurato a Lainate il primo tratto dell’autostrada dei Laghi, da Milano a Varese, la prima autostrada realizzata al mondo
1937 – J. R. R. Tolkien pubblica Lo Hobbit
1964 – Malta ottiene l’indipendenza dal Regno Unito
1990 – Il giudice Rosario Livatino viene assassinato, a soli 38 anni, mentre percorre la statale Agrigento-Caltanissetta, in Sicilia
I NATI OGGI
1452 – Girolamo Savonarola, religioso, politico e predicatore
1913 – Laura Lombardo Radice, insegnante e partigiana
1923 – Sergio Zavoli, giornalista, scrittore e politico
1934 – Leonard Cohen, cantautore e poeta canadese
1943 – Ombretta Colli, cantante, attrice e politica
1947 – Stephen King, scrittore statunitense
1951 – Ivano Fossati, polistrumentista, cantautore e compositore
1960 – Aida Satta Flores, cantautrice
1962 – Roberta Torre, regista e sceneggiatrice
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