La vendita del Giornale di Sicilia e quel vuoto che ci resta dentro

Linotype tipografia Giornale di SiciliaLa notizia della cessione del Giornale di Sicilia è di quelle che non destano stupore ma creano dentro un malessere a cui è giusto dare un nome. Perché il Giornale è qualcosa che appartiene a noi, come ci appartiene la squadra di calcio con la maglietta rosanero, qualcosa che fa parte della vita quotidiana di ciascuno, sia pure con sfumature diverse. Qualcosa che va al di là del possesso materiale della famiglia Ardizzone. Un giornale è un patrimonio immateriale di una comunità cittadina, questo giornale da più di un secolo e mezzo è un simbolo di Palermo: non è quindi normale provare uno strano turbamento anche se la notizia era nell’aria?

Io palermitano cresciuto guardando come tanti la prima pagina negli espositori delle edicole, io costretto a stare in silenzio nei pomeriggi delle affollate feste familiari “perché il nonno dorme e poi di notte va al giornale”, io che ricordo la sede di piazza Giulio Cesare e ho nelle narici il cattivo odore di quelle stanze che puzzavano di fumo e inchiostro, io sento, come molti cittadini di Palermo, che qualcosa mi è stata portata via per sempre.

Dell’ipotesi di cessione del quotidiano di via Lincoln si parla da anni, non c’è gruppo editoriale a cui non sia stato accostato, dall’Editoriale L’Espresso a Rcs-Corriere della Sera, sino al socio della porta accanto, quel Mario Ciancio patron de La Sicilia di Catania e già azionista e consigliere di amministrazione del Giornale di Sicilia. La crisi dei prodotti di informazione cartacei, invecchiati nello spazio di un mattino, fiaccati dalla prepotenza di internet e, specie al sud, da un mercato pubblicitario asfittico, ha acuito i demeriti di un editore incapace di cambiare rotta quando il vento non soffiava più alle spalle.

Nonostante una egemonia pressoché totale (il giornale, una televisione e una radio leader dei rispettivi campi di diffusione) da almeno 15 anni si avvertiva la sensazione di una barca tenuta in linea di galleggiamento da un senso di ineluttabilità più che dalla qualità del prodotto. Il Giornale di Sicilia, dicevamo, è nelle nostre vene come il Palermo. E Ardizzone come Zamparini in un certo momento storico ha perso il contatto con la realtà, ma al contrario di Zamparini ha tollerato anche troppo la mancanza di risultati. In parole povere non ha avuto la capacità di pensare che il rischio del cambiamento fa parte del mestiere di imprenditore. E questa è stata la sua colpa principale e la sua condanna.

Un giorno, forse, varrà la pena dedicare qualche riga a questi editori-direttori, anomalia tutta siciliana, che hanno dominato per decenni il mercato editoriale regionale e condizionato (chi più, chi meno) la politica di tutta la regione e principalmente di Palermo, Catania e Messina. Ma come vecchi feudatari sono rimasti ancorati alla loro era e ai loro saperi e quando il mercato gli ha voltato le spalle e la politica ha suo malgrado limitato le erogazioni, sono cominciati i problemi, anche perchè alle loro spalle c’era il nulla o quasi. L’unica reazione è stata quella tipica dei ragionieri di bottega: limitare i costi, avviare licenziamenti, evitare ogni investimento, difendere le posizioni personali, decimare le risorse professionali come se i giornali si facessero per autogenesi.

La grave e perdurante crisi finanziaria ha messo Ardizzone davanti ad una scelta obbligata: cedere per continuare ad esistere. E nulla potrà toglierci dalla testa che l’addio a Giovanni Pepi e l’arrivo alla direzione di Marco Romano non sia stato che il prologo di questa trama. L’acquirente, che possiede la proprietà de La Gazzetta del Sud (e di televisioni e radio collegate, proprio come il Giornale di Sicilia a Palermo) ha grandi risorse patrimoniali e buona liquidità. Questo è quello che ci dicono e a cui non si fa fatica a credere. Le clausole dell’affare rappresentano ancora un mistero perché, per usare ancora una volta una terminologia legata alle recenti vicende calcistiche, il closing si realizzerà tra qualche settimana.

Per la prima volta l’asse del potere editoriale si sposta così a Messina, la sponda che meglio ha saputo reggere l’urto con il nuovo che avanza, per capacità imprenditoriali e migliori congiunture: minore e meno qualificata la concorrenza, maggiore il bacino d’utenza assicurato anche dal mercato della Calabria. E così la cosiddetta “provincia babba” s’è mangiato il boccone più prelibato mettendosi in saccoccia il blasone palermitano e la storia del quotidiano tra i pochi a narrare l’alba dell’Italia unita e le gesta di Giuseppe Garibaldi.

Post scriptum- Quel signore della foto seduto dietro la linotype era il mio bisnonno Giuseppe, proto sin dai primi anni del ‘900. Il ragazzino che lo guarda era mio nonno Nino, direttore della tipografia dal dopoguerra al 1968. Entrambi furono assunti dallo stesso editore che si chiamava Ardizzone e per lo stesso editore lavorarono, complessivamente, quasi per un secolo. Non credo che per loro questo sarebbe stato un bel giorno.